Speciale: Il Cinema di Wong Kar-Wai

Da un contributo di Gabriella Aguzzi,

curatrice della rubrica cinema e spettacoli di CORRIERE ASIA 

IL CINEMA DI WONG KAR-WAI
Da “As Tears go by” a “My Blueberry Nights” un percorso registico raffinato ed elegante attraverso un mondo di solitudini

 

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Personaggi quasi imprigionati dalla cinepresa che incombe loro addosso e alla quale narrano, con voce fuori campo, le loro angosce incomprese, che rincorrono le loro abitudini assurde irrompendo inaspettati nella poesia, che si sfiorano, si incrociano, si riconoscono, si perdono; luci filtrate e inquadrature sghembe su una Hong Kong appena intravista e appena riconoscibile, fatta di interni squallidi, tempi lunghi e dilatati alternati ad accelerazioni improvvise, colonne sonore languide che portano nell’Estremo Oriente la voce di tanghi argentini.

Sono gli elementi più immediatamente riconoscibili del Cinema di Wong Kar-Wai, il cantore delle occasioni perdute. Con una magia tutta personale, estetizzante fino al parossismo, coniuga l’estetica del videoclip ad un lirismo struggente e scruta lo strazio dell’abbandono attraverso una galleria di personaggi strani e perdenti, chiusi nelle loro manie, tutti irrimediabilmente e desolatamente soli.

ac7f42a41c3151c157f3de9ce1eb0bf6.jpgDal suo primo lungometraggio “As Tears go by” (Wong gok ka moon, 1988), interpretato da un giovanissimo Andy Lau, un piccolo gangster che tenta invano di prendersi cura dell’amico impulsivo e imprudente con evidente richiamo a “Mean Streets” di Martin Scorsese, e dal malinconico, spiazzante, “Days of being wild” (A Fei zheng chuan, 1991), risulta evidente l’amore di Wong Kar-Wai per questa umanità triste e perduta, spezzando la tradizione gangsteristica di Hong Kong per trasfigurare storie di piccola criminalità in nostalgia di amori mancati e lo squallore di vite solitarie con improvvise e brusche sparatorie.

Si ritrovano le stesse tematiche e la stessa incomunicabilità nei lavori successivi, “Hong Kong Express” (Chung Hing Sam Iam, 1994) e “Angeli perduti” (Duo Luo Tian shi, 1995) due film che possono quasi essere considerati uno la continuazione dell’altro per ambientazione (siamo nello stesso quartiere, Chung King, costellato di piccole drogherie) e originalità di caratteri (non fanno mai nulla di banale i personaggi di Wong Kar-Wai, vanno perfino a vedere una partita della Sampdoria!). I protagonisti sono appena abbozzati, come incontrati per caso: alcuni di loro fanno i killer e vivono la loro criminalità come una routine che li isola da altri rapporti umani, altri sono gente comune che spia nella spazzatura dell’amato per conoscerne l’anima, che compra scatolette con una scadenza che segna l’anniversario di una fine, che sente il bisogno di consolare gli oggetti intristiti, che ama chi insegue un altro amore svanito (“…il tonno in scatola, i detersivi, tutto scade, chissà se anche i ricordi hanno una scadenza”).

Tra i due film si inserisce un’opera apparentemente anomala nella filmografia di Wong Kar-Wai. Si tratta di “Ashes of Time” (Dung che sai duk, 1994), in cui si cimenta con il wuxia. Ma anche qui sconvolge il genere con la sua impronta personale, intrecciando frammenti di storie nella casa di un killer prezzolato, a cui ognuno confida il proprio amore spezzato e il proprio desiderio di vendetta. Le storie si intersecano e si allontanano, accomunate dalla malinconia, intrise di un lirismo a volte troppo estremizzato, ma che rivela la poetica di fondo del regista.

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Chissà perché la gente sola finisce con l’assomigliarsi” si chiede il protagonista di “Happy together” (Chung gwong cha sit, 1997), storia di un amore omosessuale che inizia in Argentina, dove avviene l’ultima insanabile frattura tra i due (pochi autori sanno descrivere nei dettagli la fine di una storia con tanto accoramento e sensibilità), cambia direzione per trasformarsi in una storia d’amicizia con l’entrata in scena di un terzo personaggio e si conclude con la visione del faro più a sud del mondo e il ritorno verso una Hong Kong caleidoscopica. Protagonisti il compianto Leslie Cheung, Chang Chen e lo splendido Tony Leung, volto simbolo del Cinema di Wong Kar-Wai da “Days of Being Wild”.

E siamo al suo capolavoro, la summa della sua poetica sugli amori sbagliati, “In the Mood for Love” (“Fa yeung nin wa, 2000). E’ la storia di un amore dimesso, mai compiuto, lasciato andare come le volute di fumo nella stanza, come la pioggia che batte triste e insistente sullo stesso angolo di strada. Con reminiscenze europee, da “Breve Incontro” a “Hiroshima mon amour”, Wong Kar-Wai inquadra dettagli, si sofferma sulle scale, i vestiti, le scarpe, una lampada, non mette mai a fuoco i coniugi traditori. Sono proprio i dettagli a far comprendere ai due coniugi traditi la loro condizione e a condurli in un gioco di finzione per comprendere le ragioni dell’abbandono. Ma s’immedesimano nei ruoli e s’innamorano, un amore nascosto come un errore agli occhi estranei e indiscreti dei coinquilini invadenti.
Il lieto fine che chiudeva “Hong Kong Express”, aggiustando un po’ ottimisticamente gli equivoci, è dimenticato. Qui l’occasione rimane mancata, il sogno soffocato nelle mura di un appartamento angusto, e non resta che rinchiudere il segreto nella feritura di un albero, anni dopo, in Cambogia.

Potete leggere il prosieguo dello special al seguento link

http://www.corriereasia.com/_var/rubriche/DVRLKLY-EMCANTR-HHZ.shtml 

Speciale: Il Cinema di Wong Kar-Waiultima modifica: 2007-07-28T14:27:34+02:00da inokashira
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