L’intervista. Nunzio Battaglia: la fotografia svela il dualismo fra Occidente e Oriente

3d974366de78173655ea737acee250e5.jpgVi propongo oggi un viaggio nell’esperienza biografica di un artista  che sta percorrendo, attraverso la ricerca fotografica in Asia, un tragitto di ricerca estetica e metafisica, nel confronto attuale e composito fra la dimensione occidentale e orientale di spazi e forme. Le foto di Nunzio Battaglia, non solo rivelano molto del background di competenza d’architetto  consolidata in anni d’attività professionale dall’artista siciliano, ma parlano della fresca curiosità che avvicina l’uomo occidentale, figlio di un umanesimo che centralizza l’individuo a pieno protagonismo del proprio destino, all’immansità ignota di un ordine orientale del cosmo che trascende gerarchie terrene, simbolismi razionali, classificazioni illuministe, ma trascina, nella sua velocità evolutiva e voracità spaziale, le sensazioni più nascoste di ognuno di noi.

Asian Studies Group vi propone la lettura di una recente intervista condotta in occasione dell’ultima mostra dell’artista presso la Galleria Fotografia Italiana di Milano.

Intervista a cura di Paolo Cacciato, pubblicata su Corriere Asia, giugno 2007.

 P.C. – Professionalmente nasce come architetto, ma l’aspirazione artistica approda alla fotografia. Parlando di questoda864814ad2b4ddc7a51e77541986cdf.jpg percorso personale che va dall’architettura al paesaggio, filtrato attraverso lo sguardo di un animo da fotografo, può raccontarci come ha vissuto questo cambiamento? In maniera contrastata e spesso dualistica oppure come naturale evoluzione della sua sensibilità artistica?

N.B. – Nessuna dualità. Avevo intrapreso il mio percorso “creativo”, partendo da una delle possibili vie di allora: l’Architettura. La via più riconoscibile in una Sicilia degli anni 80 dalla quale potevo scrutare la questione della forma e della professione, salpare da una disciplina_strutturata per interrogarmi sul valore della bellezza. Durante la mia infanzia, del resto, avevo avuto la fortuna di scoprire il piacere del comporre giocando nella falegnameria di mio padre, di guardare il mondo a partire dai disegni fatti su avanzi di compensato, di assistere al silenzioso divenire delle ipotesi che scaturivano da bisogni concreti: l’assemblarsi delle parti, il generarsi di risposte precise a bisogni dell’abitare.
Sono cresciuto nella grande palestra della cultura del progetto che guardava con orgoglio alle culture dei popoli innalzando grammatiche per deità: lesene, metope e triglifi, forme di bellezza e armonia. Ho amato molto questi percorsi, occasioni di riflessione, metodi, dubbio intorno alle cose, disgelo delle ipotesi attraverso un incessante dialogo tra visione, simboli, soluzioni concretizzate nella materia. Tuttavia, continuando a lavorare sul ristretto confine teso tra progetto e bisogno, la mia “domanda interiore” cominciava ad inaridirsi gettandomi in lunghi attimi d’attesa. I miei maestri di allora erano costruttori di “materia densa”, mentre io cercavo “costruttori dell’impalpabile.

P.C. – Cosa rappresenta l’Asia nel suo percorso artistico e umano? Quando l’ha scoperta e con quale meraviglia?

N.B. – Mi ero già interrogato, come tutti quelli della mia generazione a suo tempo, sugli echi che provenivano da un altro “lontano” che, (non essendo più la Grecia il bacino di riferimento storico_estetico) emanava tradizioni d’equilibri profondi e professava accorate cosmogonie, erano i tempi dove si sentiva di amici che andavano in India … Recentemente quando ho sentito che la mia fotografia avrebbe in qualche modo riprodotto i miei viaggi in occidente come un noto visibile già impacchettato in film e letteratura, sono ripartito da un preciso riferimento: il Tibet e l’Himalaya, una sorta di tetto del mondo dal quale sperare di poter ricomprendere tutte le geografie, quelle interiori e quelle dell’origine del mondo. E’ stato quello un viaggio di conversione, di risonanza, di ridirezionamento della mia ricerca. Le grandi distese, i Campi Elisi, il paesaggio a perdita d’occhio e stratificato, dove coesistevano in un tiepido caleidoscopio ere, glaciazioni, deserti e ghiacciai, dove riverberi dell’anima in forma di territorio divenivano soffice ricerca nella quale il mio occhio accettava una forma del mondo.

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P.C. – Lei, che come molti altri artisti e direi anche professionisti, hanno vissuto il contatto artistico, nella ricerca visiva dell’esperienza fotografica, con la realtà sociale della Cina di oggi, quale emozione o impressione maggiore vuole condividere?

N.B. – I viaggi in Cina hanno sancito per molti versi ancora una morte, quella di uno strumento: la fotografia. Se prima il dissolvimento era stato quello di una disciplina, l’Architettura, durante l’ultimo viaggio nello Yunnan ho dovuto rimodellare lo sguardo verso un azzeramento dello strumento fotografico (normalmente inteso come riflesso del reale) per intraprendere racconti indiziali, metafore visive, riverberi e somiglianze che, per certi versi, già esistevano in tutta l’arte a d’oriente. In altre parole, parte dei miei vecchi codici espressivi, morivano proprio nella Shangri_La dal promettente e salvifico nome “la luna e il sole nel cuore”. In quelle distese mi sono piegato alla forza del mistero che prevale su ogni speranza: ho dovuto implorare la mia guida locale di condurmi tra i paesaggi pubblicati sulle guide per turisti piene di straordinarie e corpose vallate. Volevo annegare in uno di quei paradossi dello sguardo per poter anch’io declinare il mio “sole nel cuore”. Trasformare, nelle lunghe insonnie di frustrazione, il senso del mio viaggio, era diventata la realtà oltre ogni desiderio.
Riscoprire l’atto del fotografare, risalirne il mistero modularlo in un gesto d’ascolto nel quale l’atto del vedere poteva accedere illeso ad ogni contraddizione, concettualismo, diventando capace di trasportaci verso galassie inesistenti.
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P.C. – Cosa ha scoperto in questo viaggio nel confronto fra sensibilità e tradizione occidentale e misticismo ma anche dinamismo della realtà cinese? Cosa a livello concreto l’ha colpita nella sua quotidianità a Pechino?

N.B. – Potrei dire ancora un segnale, un’esortazione a compiere il proprio destino senza interrompersi senza voltarsi indietro, per certi versi quasi come se la ragione nulla potesse modificare. Infatti, ero passato con la luce cocente dalla Piazza Rossa e mi aveva colpito l’immagine gigantesca del Grande Timoniere che ricordava, come un punto di fuga, brani della recente storia nella quale ero immerso. Mi ero ripromesso di fare alcuni scatti di notte, per cancellare superflui e bancarelle. Verso le 21,30 comincio la mia danza con lastre e obiettivi, indago lo spazio e il suo possibile racconto, trovo il giusto riquadro da registrare e finalmente carico la macchina. Ma Pechino non è Las Vegas e non si racconta per tutta la notte, non è la notte dell’occidente. La luce della piazza viene spenta alle 22,00 perdo l’immagine che mi rimane nel cuore.

L’intervista prosegue e termina al seguente link

http://www.corriereasia.com/_var/news/DVOFUGN-EMCPCEG-BRTX.shtml 

 

CENNI BIOGRAFICI DELL’ARTISTA TRATTI DAL SITO INTERNET UFFICIALE www.nunziobattaglia.it 

99e8646913ae67cadc1a709287f47f95.jpgNunzio Battaglia nasce nel 1958 in Sicilia, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza.

Nel 1975 intraprende gli studi universitari presso la Facoltà di architettura di Palermo, e all’interno di questa esperienza instaura il rapporto con la fotografia in bianco nero. Compie una serie di viaggi in Europa filtrando l’esperienza diretta della forma del mondo, attraverso riprese in diapositiva.

Conseguita la laurea in architettura, fonda diversi atelier creativi legati alla progettazione e al design.

Nel 1988 sceglie di approfondire la propria formazione, intensificando il rapporto con Milano; dove, dopo un breve ripensamento maturato a Siracusa, si stabilisce definitamente. Qui approfondisce i temi dell’espressione artistica e della fotografia. Sviluppa la ricerca in più direzioni, sperimentandola sia in ambito didattico, quale docente di architettura e design, sia sistematizzandola attraverso riflessioni sul paesaggio e i luoghi antropizzati. Approda nel 1993, ad un primo percorso espositivo.

Dal 1995 si dedica completamente alla fotografia, compiendo viaggi nel bacino del Mediterraneo, ed in Sicilia. Matura parallelamente, letture trasversali sulla città di Milano e, confronti sulle metamorfosi spaziali d’importanti centri metropolitani d’Europa .

Nel 2004 viaggia in Tibet e Nepal, concentrandosi sulla natura spirituale dello spazio e sul colore come testimone di sacralità.

Continua nel 2005-06 con due viaggi in Cina e Yunnan, confrontandosi con il tema delle grandi trasfor¬mazioni del paesaggio e delle culture.

È in atto, una riflessione sulla visione e il linguaggio fotografico dal titolo Losing photography che approderà in un volume di prossima pubblicazione.

 

L’intervista. Nunzio Battaglia: la fotografia svela il dualismo fra Occidente e Orienteultima modifica: 2007-07-24T12:55:00+02:00da inokashira
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